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News / Blog

CONCERTO DI NATALE 2016

Posted by on Dic 21, 2016 in Concerti, Main | 0 comments

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Anche quest’anno, in prossimità del Natale, abbiamo organizzato un concerto presso la struttura sanitaria C.P.O. di Ostia, aperto ai pazienti, alle loro famiglie, agli ospiti. E’ sempre un’occasione di gioia, un momento di incontro che ha un significato ben più ampio del semplice ascolto della musica.

E, ormai, sta diventando una tradizione del nostro coro.

Sabato 10 dicembre 2016, ore 16.30

BUON NATALE!!!

INCONTRI DI POLIFONIA VOCALE 2015

Posted by on Giu 16, 2015 in Concerti, Main | 0 comments

Lunedì 29 giugno 2015 alle ore 20.45, nella rinascimentale Sala Riario del borgo medievale di Ostia Antica, l’Associazione Culturale “Lo Strambotto” organizza la XXVIII stagione degli “Incontri di Polifonia Vocale”.
Parteciperanno l’Insieme Vocale “Lo Strambotto” diretto da Costantino Savelloni e l’Ensemble Vocale “Thesaurus” diretto da Alberto Galletti. In programma composizioni del ‘500 e contemporanee.

CONCERTO DI NATALE 2014

Posted by on Dic 12, 2014 in Concerti, Main | 0 comments

Anche quest’anno, per il secondo anno consecutivo, Lo Strambotto canterà per il concerto natalizio al C.P.O. (Centro Paraplegici di Ostia), nato nel maggio 1957 come primo Centro italiano dedicato alla cura delle persone con lesione midollare.

Molto emozionante l’esperienza del Natale 2013, siamo sicuri che anche per il 2014 il concerto sarà straordinario.

Nuovi e vecchi pezzi, tutti nello stile Strambotto diretto dal bravissimo maestro Savelloni che, oltre a saper toccare le corde giuste in musica, sa far divertire e emozionare con le parole.

CONCERTO A OSTIA ANTICA

Posted by on Giu 20, 2014 in Main | 0 comments

Eccoci ancora una volta in concerto al Salone Riario, nel borgo medievale di Ostia Antica, che venerdì 20 giugno, alle ore 21, vibrerà di melodie rinascimentali ricreando atmosfere che oggi non è facile trovare… a meno che non si frequentino gruppi di appassionati come noi!

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PRIMA DEL CONCERTO

Posted by on Feb 6, 2014 in Main | 0 comments

Ancora una volta diffondiamo con piacere un articoletto stuzzicante del misterioso “Basso Ostinato” che ci allieta dal notiziario ARCL con i suoi racconti di vita corale vissuta.(http://www.arcl.it/dmdocuments/LazioinCoro_gen_14.pdf)

Questa volta ci descrive il pre-concerto, momento che può essere drammatico o comico, o entrambi, a seconda di come i diversi caratteri dei coristi e i diversi riti individuali si combinano tra di loro e danno luogo ad una trama tipica di ciascun coro.

CONTROCANTO

Prima del concerto”di Basso Ostinato

Chi tra i lettori non canta in un coro si è mai chiesto cosa succede nei minuti che precedono l’ingresso dei cori davanti al pubblico per l’esibizione? Spesso l’arrivo del gruppo sul palco o nel luogo dove canterà avviene con un po’ di ritardo rispetto all’orario stabilito, perché siamo in Italia e la precisione non fa proprio parte del DNA del nostro popolo. Ma aumenta il mistero su quello che accade dietro le quinte prima che il pubblico possa scatenare l’applauso di benvenuto. In quel periodo di tempo succedono un sacco di cosine, che può essere interessante e divertente svelare agli occhi del mondo ignaro. Di qualcuna di esse abbiamo già avuto modo di accennare in numeri precedenti di questa misera rubrica, ma affrontando l’argomento organicamente possiamo mettere ordine nella materia.

 

Partiamo da un presupposto banale: un coro ha preso un dato impegno, e quindi deve esibirsi in un certo luogo a una certa ora. Quindi vi è un orario di appuntamento opportunamente anticipato rispetto al momento del concerto e in genere il gruppo prevede alcuni minuti di riscaldamento e di test acustico dell’ambiente in cui ci si dovrà esibire. Poi segue un momento in cui ci si fa belli e si cura il più smagliante lato estetico della compagine per presentarsi al pubblico “lindi e pinti” come gli ascoltatori meritano. Questo è brevemente lo standard. Entro e intorno questo standard succedono varie cose più o meno imprevedibili. Ma, come si dice, tutto il mondo è paese e quindi in tutti i cori si verificano fatti che contribuiscono a rendere un po’ caotico e problematico il periodo pre-concerto.

Partiamo dai ritardi. Se l’organizzazione del concerto ha dato disponibilità per un certo orario per le attività preparatorie, la cosa più ingenua che un direttore artistico può fare è dare appuntamento al gruppo sul luogo del misfatto esattamente a quell’orario. Quanti coristi saranno presenti a tale ora? Non più di tre, e sono gli inguaribili precisini del gruppo (chi crede negli oroscopi dirà che sono quelli del segno zodiacale della Vergine, ma queste sono superstizioni…. vere! Ma solo superstizioni). E gli altri? Beh, arriveranno, arriveranno, ma bisogna avere un po’ di pazienza, non si può avere mica tutto e subito! Infatti, per questo fatto i direttori più smaliziati sono soliti dare appuntamento al coro mezz’ora prima dell’orario comunicato da chi organizza il concerto, asserendo alla prova che tale orario è categorico e non discutibile. In questo modo essi otterranno di avere i tre quarti del gruppo per l’ora corretta, cioè mezz’ora dopo l’appuntamento da loro richiesto. E perché non tutto il gruppo? La perfezione non è di questo mondo, bisogna adattarsi. Solitamente dopo la mezz’ora successiva all’orario stabilito arriveranno ancora alla spicciolata i ritardatari giustificati, cioè chi ha il problema con la gestione dei bimbi piccoli, chi ha improrogabili impegni di lavoro, chi ha la cresima del nipote e via dicendo, e poi i ritardatari cronici. Questi non possono fare a meno di arrivare in ritardo, lo hanno scritto nel loro codice genetico, e quando arrivano, in genere a metà della prova acustica, sono anche molto flemmatici! Se il concerto è fuori mano, per cui i coristi devono percorre un po’di strada per arrivare sul luogo del concerto, vi è la categoria di quelli senza senso di orientamento che inequivocabilmente si perdono. In quel caso in genere arriva una telefonata sul cellulare di qualcuno a prova acustica avviata, in cui il malcapitato dichiara pieno di ansia di essere su via della Maglianella, chiedendo disperatamente “Cosa devo fare???”. In genere sono del tutto fuori strada. Esiste addirittura gente che, dovendo convergere su Rieti per il concorso regionale ARCL di qualche anno fa, mezz’ora dopo l’orario dell’appuntamento telefonava dicendo “Sono qui a Terni, ma non trovo l’indirizzo del Teatro!”… molti dei lettori si stupiranno, ma è incontrovertibile verità storica.

Facciamo conto che tutti o quasi siano giunti sul luogo del concerto. Cos’altro succede? Eh, ci vorrebbe molto spazio per completare la casistica! Cominciamo a dire che se il coro è invitato a cantare in una chiesa, e sapete tutti quanto frequentemente avviene questo caso, irrimediabilmente arrivati sul posto si scopre che al momento della prova acustica c’è una messa o una funzione religiosa che nessuno aveva previsto, e di cui neanche l’organizzazione del concerto era al corrente. Questo fatto produce grandi mal di pancia al direttore, che non può impostare l’assetto del coro sul punto dell’esibizione in funzione di come gira il suono e di altri fattori logistici, e il sottile panico di alcuni coristi più ansiosi che chiedono con voce malferma “E io poi dove mi metto”? In questo caso va a finire che il coro si riduce a provare i brani più ostici del concerto o gli attacchi dei pezzi, o semplicemente a vocalizzare per scaldare la voce in stanzucce di quattordici metri quadrati con soffitto alto due metri e cinquanta, in corridoi gelidi e rimbombanti, in ampi cortili con il suono che scompare allegramente tra le nuvole se non addirittura in mezzo alla strada, in un cantone invaso lì per lì, con il rischio che qualche abitante del luogo, disturbato dalla inattesa performance acustica, versi sulla testa dei malcapitati cantori misteriosi liquidi di dubbia origine.

Ovunque avvenga la prova acustica, al momento di cominciare il direttore si guarda intorno e si accorge sempre che tre o quattro coristi mancano all’appello, nonostante che i più li avessero visti arrivare sul luogo del delitto. Essi ricompaiono flemmaticamente, tutti pieni di manifesta inconsapevolezza, verso la fine della prova con in mano un panino con la mortadella, oppure a mani vuote ma con un inconfondibile alitino di caffè espresso caldo caldo. Le reazioni a ciò spesso non sono proprio composte, specialmente da parte del direttore, ma l’affamato o il caffeinomane di turno giacciono sempre in agguato in un gruppo, e sortiscono fuori colpendo inesorabilmente nel momento meno opportuno. Non dimentichiamo che oramai viviamo nell’era della  telecomunicazione, e quindi durante la suddetta prova ci sarà sempre almeno un corista, in genere quello professionalmente più impegnato, che sarà fuori a telefonare al cellulare, camminando avanti e indietro mentre discute animatamente con l’invadente ordigno. Chi in un modo o nell’altro è presente a questa benedetta prova acustica deve subire un’atmosfera quasi sempre nervosina, generata da un direttore ansiogeno perché non è soddisfatto del suono, o non trova la posizione corretta per il gruppo, o gli sembra che il coro sia impreparato in modo allarmante. A un certo punto chiede se tutto va bene e vi è sempre un corista o più che asserisce con la faccia appesa “non sentiamo gli altri”. Questo avviene sistematicamente, qualsiasi sia la grandezza e la forma del luogo in cui si deve cantare e qualsiasi sia il numero e il tipo di schieramento dei coristi presenti. Questo è uno dei grandi misteri del mondo corale! Dopo la “rilassante prova acustica” segue la fase della “vestizione”, in cui i coristi, alla stregua di arcivescovi prima delle solenni funzioni pasquali in cattedrale, si bardano di tutto punto con la divisa prevista dal coro. Molto spesso però il locale messo a disposizione del gruppo per questa funzione è uno solo per i maschietti e le femminucce. Il problema della promiscuità deve essere affrontato con la necessaria filosofia, che in genere si traduce nella noncuranza dei maschi che espongono i pelacci delle loro cosce allo sguardo delle donne presenti, mentre le femminucce tendono a solidarizzare tra loro formando sorte di capannelli a guisa di cabine per la prova degli abiti alla Rinascente, per proteggere le loro “beltà” dal presunto sguardo concupiscente dell’invadente sesso forte, oppure allo stesso scopo architettano complicatissimi movimenti, messi a punto in anni ed anni di esperienza, per fare in modo che un capo di vestiario copra l’altro durante le sostituzioni, con complessa e scomoda coabitazione di maglie e canottiere, pantaloni e gonne, un capo che sale mentre l’altro scen­de in modo che neanche un centimetro quadrato di pelle sia esposto all’aria per evitare l’innesco di improbabili ma temuti turbamenti ormonali nei coristi maschiotti. Le donzelle specialiste in queste barocche dinamiche della svestizione e della vestizione meriterebbero una laurea honoris causa in ingegneria del cambio-abito.

Alla fine bene o male tutti sono pronti, e l’orario dell’esibizione si avvicina. Quando mancano pochi minuti all’entrata davanti al pubblico improvvisamente qualche corista denuncia con preoccupazione la scomparsa inspiegabile della sua cartellina. La persona è turbata dal mistero e dall’ansia di non potersi presentare al concerto con i propri spartiti. All’inizio nessuno pare filarselo, poi, dopo le rumorose sollecitazioni del malcapitato, molti collaborano all’inutile ed affannosa ricerca, perché la benedetta cartellina non ricompare. Alla fine, dopo grandi fatiche, si scopre che la persona più mite e insospettabile del coro vi è seduta sopra, mentre conversa amabilmente con gli altri, oppure la cartellina è stata stipata con cura entro il cappotto di qualcuno che non si era minimamente accorto di creare il disagio. Poi il direttore artistico solerte, ancorché ancora ansioso, invita tutti a schierarsi per l’ingresso puntuale del coro, ma inevitabilmente ci sono due o tre persone al gabinetto. Ormai è fatto conclamato che la pipì sia uno dei principali ostacoli all’espressione dell’arte ed alla divulgazione del canto polifonico. Ma superato anche tale problema, il coro è pronto in attesa fuori alla porta che lo introdurrà all’esibizione. Qui in molti casi comincia una serie di strane cerimonie tantriche imposte dai direttori per favorire, secondo loro, la concentrazione e l’ossigenazione dei propri cantori. Quindi si susseguono lunghe respirazioni, pose diritte con occhi chiusi alla ricerca del mantra, quasi che i cantori debbano affrontare la più ardua prova della loro vita. Al momento di entrare, che quasi sempre è più tardi rispetto all’orario prefissato perché si aspetta che la maggiore quantità possibile di spettatori convergano sul luogo del concerto anche se non proprio puntuali, c’è qualcuno designato dall’organizzazione del concerto e il più delle volte del tutto sconosciuto al coro, che davanti agli spettatori presenta l’evento e dice due parole sul coro che si deve esibire. E qua succede un altro fatto irrimediabile: qualcuno del coro chiede “cosa sta dicendo?” e la risposta è sempre una e inequivocabile: “Non si sente una mazza!”. Da che mondo è mondo nessun coro è mai riuscito a sentire la presentazione a lui riferita, a meno che ovviamente il gruppo non sia già presente all’interno dell’ambiente di esibizione.

Ma alla fine il momento fatidico arriva, la porta si apre, il coro entra e la magia della musica si ricrea, per la fortuna del mondo. Forse vale proprio la pena soffrire un po’… prima!

CONCERTO DI NATALE 2013

Posted by on Dic 11, 2013 in Concerti, Main | 0 comments

Quest’anno abbiamo voluto dedicare il nostro concerto di Natale  ai pazienti di un centro sanitario importante del nostro territorio, il C.P.O. (Centro Paraplegici di Ostia), nato nel maggio 1957 come primo Centro italiano dedicato alla cura delle persone con lesione midollare.

Il Centro è oggi intitolato a “Gennaro Di Rosa”, scomparso nel 2011 a 62 anni, dopo aver vissuto immobilizzato per 45 anni, paziente storico del CPO e sua anima. Nonostante fosse costretto a vivere e a spostarsi su una barella, Gennaro aveva una grinta e una tenacia invidiabili che gli permisero di affrontare innumerevoli battaglie per richiamare l’attenzione delle istituzioni nei confronti della struttura e dei suoi pazienti.

E’ anche a lui e all’Associazione dei mielolesi di Ostia, di cui Gennaro era presidente, che dedichiamo questo concerto: lui amava dipingere e cantare e sicuramente da lassù si unirà al nostro coro!

locandina coro natale

 

IL… QUARTETTO

Posted by on Ago 28, 2013 in Didattica, Main, tecnica | 0 comments

La nostra corista Rossella ci segnala un articolo comparso nel numero di luglio 2013 di “Lazio in Coro”, magazine mensile di informazione sulla coralità e sulle attività corali della regione Lazio (http://www.arcl.it/dmdocuments/LazioinCoro_lug_13.pdf) e lo pubblichiamo di seguito come spunto di riflessione, tra il serio e il faceto, per tutti i coristi o gli aspiranti tali:

CONTROCANTO

E ora facciamo un…”di Basso Ostinato

Per affrontare le calure di questo periodo climatico ci occupiamo di un argomento sicuramente non centrale nella vita del fantasmagorico mondo della coralità. Si limita all’attività delle prove ed ai gruppi con un numero non irrisorio di coristi, ma riserva qualche spunto di riflessione, sempre sopra le righe, come è stile di questa rubrichetta. Il fenomeno non è universale e non è comune a tutti i cori, ma lì dove i direttori musicali decidono di utilizzare lo strumento di cui parleremo, si verifica una serie di mal di pancia e mal di denti con strascichi umani abbastanza variegati. Chissà se i più arguti tra voi hanno capito di cosa intendiamo parlare. Sì? No? Magari serve un aiutino: c’entra il numero quattro. Ci siete? Altro aiutino? Nel fenomeno sono coinvolti alcuni coristi. Allora? Bravi! Qualcuno di voi ha capito che parleremo dei famigerati “quartetti”. Come?? Qualcuno di voi non sa di cosa stiamo parlando? Allora siete fortunati, e non avete mai cantato in un coro che fa uso di questo pur utilissimo strumento di tortura collettiva. Ma inquadriamo l’argomento con maggiore dettaglio. Quando si canta in cori folti c’è un pericolo sempre in agguato, di cui abbiamo avuto modo di parlare in tempi passati. In quel caso non si può pensare che il livello di preparazione di tutti i coristi sia il medesimo, ed inevitabilmente nella massa vi è qualcuno che canta senza la corretta intonazione, o senza conoscere bene i brani che vengono proposti. Questo può causare un effetto all’ascolto che si concretizza in una slabbratura del suono armonico d’insieme del gruppo, talvolta in imprecisioni di tipo ritmico, se non addirittura nella chiara percezione di qualche stonatura. Ben che vada il coro cala l’intonazione, trascinato verso il basso da chi non canta esattamente quello che deve. Scusate per le banalità che nel nostro ambiente sanno anche i muri, ma erano necessarie per introdurre correttamente l’argomento. In certi casi al direttore musicale del gruppo va bene così: o si accontenta di quanto è riuscito a cavare dal lavoro del suo coro, o si rassegna al fatto che non gli è possibile esorcizzare gli effetti negativi, magari perché è di buon cuore e non vuole escludere gli imperfetti dall’esibizione, o perché magari per motivi diplomatici o utilitaristici non ha intenzione di rinunciare all’apporto di alcune persone che dal punto di vista musicale non sono al massimo delle possibilità ma che offrono vantaggi di altro tipo all’attività: magari sono straor-dinari organizzatori, oppure sono danarosi e generosi ed apportano con entusiasmo utili contributi monetari alle sempre assetate casse del gruppo, oppure magari perché legami sentimentali o parentali si interpongono ad una gestione decisa ed efficace del coro. Ma in altri casi il direttore non si rassegna: esige che, guarda caso, tutti i coristi del suo gruppo cantino la stessa cosa, ed il più possibile nello stesso modo, generando risultati che remunerano sempre l’ascoltatore. Certo se parliamo di gruppi vocali, o compagini corali molto ristrette, il problema non si pone: in quel caso se qualcuno non è in grado di cantare con sicurezza la sua parte, è difficile che i brani arrivino alla fine senza incidenti. Se invece il gruppo è consistente la macchina nel suo complesso difficilmente frana verso il disastro, anche se ciò non è escluso a priori, ma si verifica ciò che abbiamo detto poc’anzi. Per esorcizzare il fenomeno vi sono sistemi tecnici che hanno una loro oggettiva efficacia, e che tendono a responsabilizzare musicalmente o vocalmente ciascun membro del gruppo, al fine di renderlo autonomo per l’esecuzione e a non dover quindi dipendere minimamente da coristi vicini, ai quali altrimenti finisce inevitabilmente per appoggiarsi. Uno di questi strumenti tecnici, da utilizzare durante le sessioni di prova, è il “quartetto”. Si parla di quartetto per semplificare, in quanto la maggior parte della musica vocale polifonica è scritta per quattro parti, altrimenti si deve parlare di”quintetto”, “sestetto” e via dicendo. Ma concediamoci la semplificazione. In cosa consiste? Semplice come bere un bicchier d’acqua: il direttore chiama un solo corista per sezione, screma quindi un quartetto che possa cantare tutte le parti del brano che si sta studiando, e ne fa cantare alcuni frammenti, se non addirittura tutto, al gruppetto selezionato. È ovvio che con questo sistema chi canta deve conoscere bene la parte, e la deve cantare senza imprecisioni di intonazione o ritmo, altrimenti il quartetto si ferma, o comunque produce un risultato discutibile: un ottimo sistema per responsabilizzare e stimolare il corista, per farlo cantare al massimo delle sue possibilità. Se poi durante la prova i quartetti ruotano, e quindi a turno tutti i coristi vengono coinvolti nel gioco, si garantisce uno studio preciso ed approfondito, il direttore riesce ad individuare i punti deboli e può lavorare alla correzione dei singoli difetti, e dopo questa sorta di autopsia musicale, quando si torna a cantare con l’intero gruppo la consapevolezza di ciascun corista è aumentata ed in genere il miglioramento qualitativo sul brano in studio risulta evidente. Ma a quale prezzo? Dipende dai soggetti coinvolti nei quartetti, dall’atmosfera delle prove e dalla capacità del direttore artistico di coinvolgere e sdrammatizzare, insomma tutt’altro che una bazzecola. Se il corista coinvolto è entusiasta per l’attività che svolge, è appassionato di musica ed ha un minimo di controllo del suo strumento vocale, in genere è contento di confrontarsi con l’esperienza del quartetto, e su richiesta spesso si offre volontario. Ma le altre tipologie di coristi, che magari amano l’attività in gruppo, vengono al coro per uscire di casa e incontrare gente, sono lì per rimorchiare una pulzella e dare una svolta al proprio destino affettivo, oppure per esercitare un potere, magari come componenti del consiglio direttivo, perché a casa o al lavoro non riescono a dare sfogo a questa loro umana esigenza, soffrono questo tipo di esperienza perché perdono la coperta di Linus della sezione abbondante, nelle file della quale possono mascherare i loro limiti o magari gestire le propria pigrizia. Per queste categorie di coristi il quartetto è un supplizio, talvolta una gogna, perché coinvolti in questa esperienza o sono costretti a mostrare i loro limiti inguaribili, che magari non sono noti a tutti i componenti del coro, oppure emerge una loro impreparazione, che li può mettere in oggettiva difficoltà nel confronto col resto del gruppo. Vi è anche una categoria di persone, molto emotive e magari un po’ insicure caratterialmente, che tra le file della sezione sono preparate, magari appassionate, e riescono sempre a dare il meglio, ma se si scoprono si sentono osservate e magari giudicate, perdono il controllo e nell’ambito del quartetto la loro buona performance si trasforma in un disastro, che fondamentalmente risulta per loro molto doloroso, non solo perché le costringe a dare meno di quello che possono, ma può generare in altri coristi ,che magari non conoscono bene i soggetti, un giudizio che non corrisponde alle loro reali potenzialità, e quindi le danneggia umanamente. Che disastro! Infatti nella maggioranza dei casi, quando il direttore annuncia in prova l’utilizzo dei quartetti ed invita i coristi a questa bella esperienza, si possono notare scene da terza media, e autorevoli professionisti, apprezzati insegnanti, amate madri di famiglia che sanno gestire casa e proge-nie con dolce fermezza, abbassano vilmente gli sguardi, qualcuno si abbassa proprio fisicamente scivolando sullo schienale della sedia per rendersi meno evidente, qualcuno improvvisamente viene colto dal sacro furore di analizzare con grande attenzione musicologica ogni segno dello spartito che ha tra le mani, e vi si cela dietro come se giocasse a nascondino, altri vengono presi dall’urgenza di soffiarsi il naso, e ravanano nella tasca affannosamente per cavarne il fazzoletto e nascondercisi dentro in una soffiata del tutto innaturale, chi comincia a parlottare affannosamente col vicino su un argomento trascurabile, che però pare essere della massima importanza in quel momento, pur di non incontrare lo sguardo roteante del povero direttore artistico, che ha una bella gatta da pelare! Quando questo definisce il quartetto, trascinando nell’impresa gente non certo entusiasta le facce appese si sprecano, talvolta i volti si arrossano per la vergogna, qualche sguardo si spalanca nel sottile panico alla ricerca del sostegno morale o anche pratico dell’amico ritenuto più bravo. Insomma i quartetti riescono ad essere contemporaneamente un momento di grande spessore tecnico musicale e una espressione delle miserie e debolezze umane. Oggettivamente il risultato sulla performance del gruppo è sempre positivo, perché chi cantava al traino matura una nuova responsabilità, o per consapevolezza di quello che canta o per paura. Le conseguenze umane non sono sempre idilliache. In certi casi qualche corista, che si sente perseguitato dall’esposizione del quartetto e preferirebbe continuare a vivacchiare nell’ombra della propria sezione, matura astio nei confronti del direttore, nel peggiore dei casi qualcuno abbandona l’attività del coro per troppo stress: sì sì, è successo anche questo. Davanti al problema della gestione di questo impatto traumatico i direttori più miti o timorosi delle conseguenze umane, temendo che queste possano dan-neggiare lo spirito del gruppo più di quanto il quartetto giovi alla sua qualità tecnica, adottano sistemi addolciti, ritenuti meno traumatici, come gli “ottetti”, cioè cantando a quattro voci si seleziona il gruppetto accostando due elementi per ciascuna sezione, in modo che le voci non siano del tutto scoperte e che i coristi a due a due si appoggino e incoraggino a vicenda. Questo è un sistema che garantisce comunque un discreto risultato tecnico, ma la cui efficacia è meno della metà di quella del quartetto, perché nella musica corale purtroppo stranamente l’aritmetica e l’algebra non funzionano come in altri campi, però comunque è meglio che un calcio nei denti! I direttori più timorosi usano alternative dei quartetti ancora più annacquate, nel tentativo di responsabilizzare le singole voci. Un sistema usato è quello di far provare i coristi mischiati tra loro, smontando completamente le geometrie delle sezioni e isolando ciascuno tra voci di altro timbro, in modo che non vi sia nessuno a cui appoggiarsi. Questo è un sistema molto affascinante di provare ed anche talvolta di esibirsi in coro, che aumenta oggettivamente il senso di consapevolezza dei singoli coristi, ma soltanto di quelli che vogliono e si sentono in grado di dare il loro apporto positivo. Gli insicuri o i pigri in questo caso si limitano ad abbassare la voce o a tramutarsi addirittura nei classici pesci, che mimano il canto con la bocca. Insomma il grande mischione ha un’efficacia tecnica utile ma inferiore a quella dei quartetti, mentre l’impatto psicologico sul gruppo è molto più dolce. Insomma il quartetto in prova è come l’iniezione in caso di malanno: fa un po’ male sul momento, ma fa tanto bene alla salute del coro. Bisognerebbe stringere un po’ i denti e avere tutti il coraggio di curarsi meglio con consapevolezza e amore per se stessi, per il proprio coro e per la musica. Purtroppo però ‘sti quartetti la mutua ancora non li passa…

COMPITI PER LE VACANZE

Posted by on Lug 6, 2013 in Main | 0 comments

Lo Strambotto va in vacanza, ma il nostro Direttore, per non farci oziare troppo, ‘ché, si sa, l’ozio è il padre dei vizi… ci ha fornito un bel brano da studiare durante i mesi estivi.

Si tratta di “Non vi mandò qua giù l’eterna cura”, testo di Pietro Bembo (una delle famose “Stanze”) e musica di Giaches De Ponte (Jacques Du Pont). Quest’ultimo nacque in Francia ai primi del ‘500, intorno al 1536 fu a Roma, maestro di cappella a S.Luigi dei Francesi.  Non si sa molto della sua vita, ma di certo entrò in contatto con il cardinale Bembo e venne a conoscenza delle sue “Stanze”: che bel matrimonio ne nacque!

Il nostro coro ha avuto il piacere e l’onore di studiare e cantare già alcuni madrigali nati da questo meraviglioso connubio (il numero si riferisce alla “Stanza” da cui proviene il testo):

1 – Nell’odorato e lucido oriente
17 – Amor è gratiosa e dolce voglia
25 – Cosa d’innanzi a voi non può fermarsi
33 – Ahi quant’indegni son di lor fortuna
34 – Non vi mandò qua giù l’eterna cura (quello che studieremo in estate)
42 – Che giova posseder cittad’et regni
Il 17, il 33 e il 42 sono presenti anche nel CD che abbiamo registrato lo scorso anno, gli altri… lo saranno nel prossimo!
Buon lavoro, Strambotto!

INCONTRI DI POLIFONIA VOCALE 2013

Posted by on Giu 23, 2013 in Concerti, Main | 0 comments

Sabato 29 giugno, alle ore 19.30, si svolgerà, nella splendida cornice del salone Riario dell’Episcopio nel Borgo di Ostia Antica (Roma) , la rassegna corale organizzata ogni anno dall’Insieme Vocale  “Lo Strambotto” .

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 Il cardinale Raffaele Riario, nipote del papa Giulio II, divenne vescovo di Ostia nel 1511 e subito cercò di migliorare le condizioni del palazzo episcopale, divenuto angusto e non adeguato al resto del borgo, che era stato completamente rinnovato dai suoi precedessori. Il salone è decorato con affreschi di Baldassarre Peruzzi (XVI secolo), riportati alla luce, appena nel 1977, da padre Geremia Sangiorgi, allora parroco di Ostia Antica .

(http://www.santaurea.org/lepiscopio.html).

Scarica la locandina

CONFERENZA E AUDIOBLOG POLIFONICO

Posted by on Apr 20, 2013 in Conferenze, Main | 0 comments

Domenica 21 aprile 2013, nell’ambito degli Incontri Culturali dell’ARCL, conversazione con il mezzosoprano Chiara Chialli su“L’evoluzione della tecnica vocale dal recitar cantando ai nostri giorni: interpretazione e stili”; segue un audioblog polifonico a cura di Marina Mungai, Ermanno Testi e Costantino Savelloni (che presenta alcuni brani tratti dal cd “Quel tristarel d’amore” dell’insieme vocale “Lo Strambotto”). Appuntamento a Roma, ore 17 nella Sala conferenze della FUIS, piazza Augusto Imperatore 4.