PRIMA DEL CONCERTO

Posted by on Feb 6, 2014 in Main | 0 comments

Ancora una volta diffondiamo con piacere un articoletto stuzzicante del misterioso “Basso Ostinato” che ci allieta dal notiziario ARCL con i suoi racconti di vita corale vissuta.(http://www.arcl.it/dmdocuments/LazioinCoro_gen_14.pdf)

Questa volta ci descrive il pre-concerto, momento che può essere drammatico o comico, o entrambi, a seconda di come i diversi caratteri dei coristi e i diversi riti individuali si combinano tra di loro e danno luogo ad una trama tipica di ciascun coro.

CONTROCANTO

Prima del concerto”di Basso Ostinato

Chi tra i lettori non canta in un coro si è mai chiesto cosa succede nei minuti che precedono l’ingresso dei cori davanti al pubblico per l’esibizione? Spesso l’arrivo del gruppo sul palco o nel luogo dove canterà avviene con un po’ di ritardo rispetto all’orario stabilito, perché siamo in Italia e la precisione non fa proprio parte del DNA del nostro popolo. Ma aumenta il mistero su quello che accade dietro le quinte prima che il pubblico possa scatenare l’applauso di benvenuto. In quel periodo di tempo succedono un sacco di cosine, che può essere interessante e divertente svelare agli occhi del mondo ignaro. Di qualcuna di esse abbiamo già avuto modo di accennare in numeri precedenti di questa misera rubrica, ma affrontando l’argomento organicamente possiamo mettere ordine nella materia.

 

Partiamo da un presupposto banale: un coro ha preso un dato impegno, e quindi deve esibirsi in un certo luogo a una certa ora. Quindi vi è un orario di appuntamento opportunamente anticipato rispetto al momento del concerto e in genere il gruppo prevede alcuni minuti di riscaldamento e di test acustico dell’ambiente in cui ci si dovrà esibire. Poi segue un momento in cui ci si fa belli e si cura il più smagliante lato estetico della compagine per presentarsi al pubblico “lindi e pinti” come gli ascoltatori meritano. Questo è brevemente lo standard. Entro e intorno questo standard succedono varie cose più o meno imprevedibili. Ma, come si dice, tutto il mondo è paese e quindi in tutti i cori si verificano fatti che contribuiscono a rendere un po’ caotico e problematico il periodo pre-concerto.

Partiamo dai ritardi. Se l’organizzazione del concerto ha dato disponibilità per un certo orario per le attività preparatorie, la cosa più ingenua che un direttore artistico può fare è dare appuntamento al gruppo sul luogo del misfatto esattamente a quell’orario. Quanti coristi saranno presenti a tale ora? Non più di tre, e sono gli inguaribili precisini del gruppo (chi crede negli oroscopi dirà che sono quelli del segno zodiacale della Vergine, ma queste sono superstizioni…. vere! Ma solo superstizioni). E gli altri? Beh, arriveranno, arriveranno, ma bisogna avere un po’ di pazienza, non si può avere mica tutto e subito! Infatti, per questo fatto i direttori più smaliziati sono soliti dare appuntamento al coro mezz’ora prima dell’orario comunicato da chi organizza il concerto, asserendo alla prova che tale orario è categorico e non discutibile. In questo modo essi otterranno di avere i tre quarti del gruppo per l’ora corretta, cioè mezz’ora dopo l’appuntamento da loro richiesto. E perché non tutto il gruppo? La perfezione non è di questo mondo, bisogna adattarsi. Solitamente dopo la mezz’ora successiva all’orario stabilito arriveranno ancora alla spicciolata i ritardatari giustificati, cioè chi ha il problema con la gestione dei bimbi piccoli, chi ha improrogabili impegni di lavoro, chi ha la cresima del nipote e via dicendo, e poi i ritardatari cronici. Questi non possono fare a meno di arrivare in ritardo, lo hanno scritto nel loro codice genetico, e quando arrivano, in genere a metà della prova acustica, sono anche molto flemmatici! Se il concerto è fuori mano, per cui i coristi devono percorre un po’di strada per arrivare sul luogo del concerto, vi è la categoria di quelli senza senso di orientamento che inequivocabilmente si perdono. In quel caso in genere arriva una telefonata sul cellulare di qualcuno a prova acustica avviata, in cui il malcapitato dichiara pieno di ansia di essere su via della Maglianella, chiedendo disperatamente “Cosa devo fare???”. In genere sono del tutto fuori strada. Esiste addirittura gente che, dovendo convergere su Rieti per il concorso regionale ARCL di qualche anno fa, mezz’ora dopo l’orario dell’appuntamento telefonava dicendo “Sono qui a Terni, ma non trovo l’indirizzo del Teatro!”… molti dei lettori si stupiranno, ma è incontrovertibile verità storica.

Facciamo conto che tutti o quasi siano giunti sul luogo del concerto. Cos’altro succede? Eh, ci vorrebbe molto spazio per completare la casistica! Cominciamo a dire che se il coro è invitato a cantare in una chiesa, e sapete tutti quanto frequentemente avviene questo caso, irrimediabilmente arrivati sul posto si scopre che al momento della prova acustica c’è una messa o una funzione religiosa che nessuno aveva previsto, e di cui neanche l’organizzazione del concerto era al corrente. Questo fatto produce grandi mal di pancia al direttore, che non può impostare l’assetto del coro sul punto dell’esibizione in funzione di come gira il suono e di altri fattori logistici, e il sottile panico di alcuni coristi più ansiosi che chiedono con voce malferma “E io poi dove mi metto”? In questo caso va a finire che il coro si riduce a provare i brani più ostici del concerto o gli attacchi dei pezzi, o semplicemente a vocalizzare per scaldare la voce in stanzucce di quattordici metri quadrati con soffitto alto due metri e cinquanta, in corridoi gelidi e rimbombanti, in ampi cortili con il suono che scompare allegramente tra le nuvole se non addirittura in mezzo alla strada, in un cantone invaso lì per lì, con il rischio che qualche abitante del luogo, disturbato dalla inattesa performance acustica, versi sulla testa dei malcapitati cantori misteriosi liquidi di dubbia origine.

Ovunque avvenga la prova acustica, al momento di cominciare il direttore si guarda intorno e si accorge sempre che tre o quattro coristi mancano all’appello, nonostante che i più li avessero visti arrivare sul luogo del delitto. Essi ricompaiono flemmaticamente, tutti pieni di manifesta inconsapevolezza, verso la fine della prova con in mano un panino con la mortadella, oppure a mani vuote ma con un inconfondibile alitino di caffè espresso caldo caldo. Le reazioni a ciò spesso non sono proprio composte, specialmente da parte del direttore, ma l’affamato o il caffeinomane di turno giacciono sempre in agguato in un gruppo, e sortiscono fuori colpendo inesorabilmente nel momento meno opportuno. Non dimentichiamo che oramai viviamo nell’era della  telecomunicazione, e quindi durante la suddetta prova ci sarà sempre almeno un corista, in genere quello professionalmente più impegnato, che sarà fuori a telefonare al cellulare, camminando avanti e indietro mentre discute animatamente con l’invadente ordigno. Chi in un modo o nell’altro è presente a questa benedetta prova acustica deve subire un’atmosfera quasi sempre nervosina, generata da un direttore ansiogeno perché non è soddisfatto del suono, o non trova la posizione corretta per il gruppo, o gli sembra che il coro sia impreparato in modo allarmante. A un certo punto chiede se tutto va bene e vi è sempre un corista o più che asserisce con la faccia appesa “non sentiamo gli altri”. Questo avviene sistematicamente, qualsiasi sia la grandezza e la forma del luogo in cui si deve cantare e qualsiasi sia il numero e il tipo di schieramento dei coristi presenti. Questo è uno dei grandi misteri del mondo corale! Dopo la “rilassante prova acustica” segue la fase della “vestizione”, in cui i coristi, alla stregua di arcivescovi prima delle solenni funzioni pasquali in cattedrale, si bardano di tutto punto con la divisa prevista dal coro. Molto spesso però il locale messo a disposizione del gruppo per questa funzione è uno solo per i maschietti e le femminucce. Il problema della promiscuità deve essere affrontato con la necessaria filosofia, che in genere si traduce nella noncuranza dei maschi che espongono i pelacci delle loro cosce allo sguardo delle donne presenti, mentre le femminucce tendono a solidarizzare tra loro formando sorte di capannelli a guisa di cabine per la prova degli abiti alla Rinascente, per proteggere le loro “beltà” dal presunto sguardo concupiscente dell’invadente sesso forte, oppure allo stesso scopo architettano complicatissimi movimenti, messi a punto in anni ed anni di esperienza, per fare in modo che un capo di vestiario copra l’altro durante le sostituzioni, con complessa e scomoda coabitazione di maglie e canottiere, pantaloni e gonne, un capo che sale mentre l’altro scen­de in modo che neanche un centimetro quadrato di pelle sia esposto all’aria per evitare l’innesco di improbabili ma temuti turbamenti ormonali nei coristi maschiotti. Le donzelle specialiste in queste barocche dinamiche della svestizione e della vestizione meriterebbero una laurea honoris causa in ingegneria del cambio-abito.

Alla fine bene o male tutti sono pronti, e l’orario dell’esibizione si avvicina. Quando mancano pochi minuti all’entrata davanti al pubblico improvvisamente qualche corista denuncia con preoccupazione la scomparsa inspiegabile della sua cartellina. La persona è turbata dal mistero e dall’ansia di non potersi presentare al concerto con i propri spartiti. All’inizio nessuno pare filarselo, poi, dopo le rumorose sollecitazioni del malcapitato, molti collaborano all’inutile ed affannosa ricerca, perché la benedetta cartellina non ricompare. Alla fine, dopo grandi fatiche, si scopre che la persona più mite e insospettabile del coro vi è seduta sopra, mentre conversa amabilmente con gli altri, oppure la cartellina è stata stipata con cura entro il cappotto di qualcuno che non si era minimamente accorto di creare il disagio. Poi il direttore artistico solerte, ancorché ancora ansioso, invita tutti a schierarsi per l’ingresso puntuale del coro, ma inevitabilmente ci sono due o tre persone al gabinetto. Ormai è fatto conclamato che la pipì sia uno dei principali ostacoli all’espressione dell’arte ed alla divulgazione del canto polifonico. Ma superato anche tale problema, il coro è pronto in attesa fuori alla porta che lo introdurrà all’esibizione. Qui in molti casi comincia una serie di strane cerimonie tantriche imposte dai direttori per favorire, secondo loro, la concentrazione e l’ossigenazione dei propri cantori. Quindi si susseguono lunghe respirazioni, pose diritte con occhi chiusi alla ricerca del mantra, quasi che i cantori debbano affrontare la più ardua prova della loro vita. Al momento di entrare, che quasi sempre è più tardi rispetto all’orario prefissato perché si aspetta che la maggiore quantità possibile di spettatori convergano sul luogo del concerto anche se non proprio puntuali, c’è qualcuno designato dall’organizzazione del concerto e il più delle volte del tutto sconosciuto al coro, che davanti agli spettatori presenta l’evento e dice due parole sul coro che si deve esibire. E qua succede un altro fatto irrimediabile: qualcuno del coro chiede “cosa sta dicendo?” e la risposta è sempre una e inequivocabile: “Non si sente una mazza!”. Da che mondo è mondo nessun coro è mai riuscito a sentire la presentazione a lui riferita, a meno che ovviamente il gruppo non sia già presente all’interno dell’ambiente di esibizione.

Ma alla fine il momento fatidico arriva, la porta si apre, il coro entra e la magia della musica si ricrea, per la fortuna del mondo. Forse vale proprio la pena soffrire un po’… prima!

Read More